lunedì 12 dicembre 2016

Il premier non eletto e i boriosi Sonnini d'Italia

di Andrea Russo (da leggere insieme a questo articolo più vecchio

Quando ho studiato Storia del diritto italiano all'Università, mi è rimasto impresso un episodio politico dei tempi dell'Italia monarchica, che riassumo col titolo "Torniamo allo Statuto".

Nel 1897 il deputato della Destra storica Sidney Sonnino, scrisse un articolo intitolato "Torniamo allo Statuto" nel quale (denunciando tutta una serie di storture nella vita politica di allora, legati anche al fenomeno del trasformismo e del clientelismo) sosteneva di abbandonare la prassi, seguita fino ad allora, per la quale il potere esecutivo veniva affidato al "presidente del consiglio".
Infatti, la carta fondamentale allora in vigore, lo Statuto Albertino, prevedeva testualmente che il potere esecutivo fosse esercitato dal Re, senza menzionare alcun primo ministro. Solo in via di prassi si era passati da una monarchia costituzionale ad una monarchia parlamentare, nella quale è il "presidente del consiglio" la figura che incarna il potere esecutivo, mentre il Re "regna, ma non governa". 

Perciò, secondo Sonnino, occorreva appunto ritornare ad una interpretazione letterale dello Statuto: il sovrano doveva tornare direttamente a governare, riappropriandosi degli ampi poteri riconosciutigli dalla carta albertina, senza peraltro essere tenuto a rendere conto del suo operato al Parlamento, come invece nel caso del primo ministro-presidente del consiglio (che dipende dall'appoggio delle maggioranze parlamentari).
Una mera questione di forma? No. Una proposta avanzata in nome di esplicite istanze reazionarie: limitare la voce in capitolo del parlamento (peraltro ancora eletto in modo censitario) ed instaurare un governo "di polso" che stroncasse la crescita del movimento operaio e socialista (nonchè cattolico) con una dura repressione autoritaria. 
La proposta di Sonnino fece scalpore alla sua epoca, ma non ebbe seguito. 

Orbene, riportare alla memoria questo episodio è significativo, perché uno schema di pensiero analogo ci viene oggi riproposto da una risma di saccenti sbruffoni per cui "secondo la nostra costituzione il capo del governo non lo scelgono gli elettori!" e su questo fanno la voce grossa. Le questioni sono leggermente diverse (oggi è il meccanismo di scelta del presidente del consiglio; Sonnino metteva in discussione l'esistenza stessa di tale carica). Ma identico è l'approccio puramente formalista nei confronti delle norme, che conduce ad analoghi risultati inaccettabili. 

Anche nell'Italia repubblicana, come ai tempi dello Statuto Albertino, è stata largamente osservata una prassi non testualmente prevista dalla Costituzione, per la quale il presidente della repubblica dovesse nominare a capo del governo una figura che fosse:
- in primis, 
un politico di partito, il più possibile scelto tra figure di primo piano; limitando a casi eccezionali la scelta di c.d. tecnici e di dirigenti di quarta fila sconosciuti anche alla loro madre. Posto che con il loro voto gli elettori italianide facto, esprimono le loro preferenze per l'aspirante capo del governo, scegliendo tra i vari capi-partito considerati papabili per quella carica.
- in secundis, espressione del partito, o dello schieramento di partiti, maggioritario nei consensi elettorali. Non è una "maggioranza" degna di tale nome un'accozzaglia raccogliticcia di parlamentari fuoriusciti dai partiti con i quali erano stati eletti (vedi NCD di Alfano, verdiniani, ex-grilli, ex-vendoliani). E di per sè, è palesemente inaccettabile che 2, 3, 4 governi di fila sorgano e tirino avanti sulla base di simili ammucchiate trasformistiche unicamente "perchè la costituzione non dice niente in contrario".

Anche oggi dunque, come all'epoca di Sonnino, si è di fronte a una regola implicita, non scritta, comunque a lungo rispettata, in quanto ispirata a maggiori criteri di giustizia e trasparenza. Una prassi che non è prevista espressamente dalla carta costituzionale. Ma nemmeno espressamente vietata.
Tanto'è vero, che anche con una legge elettorale (il "porcellum") era stato introdotto l'obbligo per ciascuna coalizione elettorale di indicare il proprio "capo" politico. Obbligo non vincolante per il Presidente della repubblica, ma che comunque ha rafforzato nel senso comune l'idea che il voto di ciascuno influisse sulla scelta del capo del governo. Considerato peraltro l'assetto ancora bipolare del quadro politico all'epoca in cui fu approvata la legge, si tratta di un quasi-correttivo tutto sommato ragionevole.

La nomina, quindi, di un tecnico o lacchè che governi il paese reggendosi su maggioranze parlamentari artificiose, che non corrispondono ai consensi elettorali, è consentita sul piano meramente formale. Resta però un abominio sul piano politico. Cioè, sul terreno dei giudizi di valore che hanno ad oggetto fatti, condotte, scelte, come tali opinabili - secondo criteri di opportunità, convenienza, giustizia sociale ecc. Con tutto questo le procedure e regolette formali c'entrano fino a un certo punto. La scelta di Mattarella di non sciogliere il parlamento e nominare anche il suo cameriere a capo del governo è formalmente lecita e rispettosa delle regole. Nel suo significato politico però, è più che discutibile (leggi, disgustosa). E perciò gli "italiani ignoranti" insorgono. 

Quanto all'affidamento a Gentiloni dell'incarico di formare un esecutivo, la questione è ancora più semplice, senza addentrarsi in norme o articoli, perché di carattere, appunto, eminentemente politico: un capo di governo si dimette in quanto è stato sonoramente sconfessato dal voto popolare in sede referendaria, e viene sostituito... da un ministro dello stesso governo e della stessa linea politica sconfessata, con tutti o quasi tutti gli stessi ministri che vogliono restare nei posti chiave. Il tutto tranquillamente ignorato da un coro di palloni gonfiati che urlacchia 25 ore su 24 "il governo non lo scelgono gli elettoriiii! il governo non lo scelgono gli elettoriiiiiii!" alzando un chiasso che impedisce a chiunque di riflettere e percepire la gravità di quanto sta avvenendo.

Chi si ferma alla semplice lettura degli articoli della costituzione non discerne nessuna di queste questioni, che sono prima di tutto di ordine politico, e solo in minima parte giuridico-procedurale. I so-tutto-io da "social", invece, confondono i due piani, sostenendo che la regolarità formale della successione Monti-Letta-Renzi-Gentiloni implica un'automatica legittimità morale e politica di questi governi davanti alla nazione!
Tali "saggi" autoproclamati da commento facebook sono i soli, veri ignoranti. Asini, perché analfabeti politici. per giunta privi di umiltà e convinti di essere più informati degli altri. Nonché, difensori sguaiati dello status quo. Sventolano come dogmi le norme scritte, escludendo qualsiasi loro interpretazione sostanziale innovativa, correttiva e illuminata che possa giovare maggiormente alla vita di un popolo (popolo di cui tanto se ne fregano, in quanto da loro definito inferiore e ritardato).

Piddini renziani, post-piccisti, hipster in carriera alla Luiss, anarchici liceali con carenze d'affetto, misanthropés nicciani per tutte le occasioni, youtubers con 100.000 fan e un solo neurone ...questa feccia accetterebbe persino la nomina di Giovanni Brusca a presidente del consiglio. Sarebbe tutto regolare, visto che nell'articoletto della Costituzione non c'è un divieto. E infatti a nessuno di loro, nemmeno per sbaglio, viene mai in mente che, magari, si potrebbe riformare proprio la Costituzione per colmare l'evidente deficit democratico circa il metodo di scelta del premierFigurarsi! Come potrebbero concepire da soli una simile idea? Le istruzioni su cosa devono pensare se le fanno impartire esclusivamente dall'Huffington Post, da La Repubblica, dalla pagina facebook "satirica" di turno, o da qualsiasi altra monnezza giornalettista, "autorevole" presso la cosiddetta gente di sinistra e la generazione Erasmus. 
Sono i nuovi Sonnini d'Italia, ma riescono a fare peggio di Sonnino. Che almeno era un ultraconservatore dichiarato, e non celava i propri sogni elitari, classisti, reazionari con scialbe frasi di Kerouac e Pahlaniuk o con hashtag lgbt. 

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